Cannavacciuolo: Ho detto di no a MasterChef. Ma diventer il vostro incubo ai fornelli

Lo chef campano, protagonista di Cucine da incubo presto in onda su Foxlife, promette di essere spietato. Proprio come Gordon Ramsay

16/03/2013 – 10:46:27  – Fonte: Mari Mollica

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Cannavacciuolo: Ho detto di no a MasterChef. Ma diventer il vostro incubo ai fornelli - Foto 1

Il physique du rôle ce l'ha. Lo sguardo minaccioso all'occorrenza, pure. E anche due stelle Michelin, che lo fanno rientrare di diritto nell'Empireo dei top chef italiani. Insomma, Antonino Cannavacciuolo, classe 1975, patron di Villa Crespi, ha tutte le carte in regola per diventare il Gordon Ramsay italiano. Dal 15 maggio sarà il protagonista di Cucine da incubo (su Foxlife, canale 114 di Sky), edizione in salsa nostrana di Kitchen Nightmares. 
Presto in tv, ma sulle riviste patinate da tempo: il suo nome ricorre sempre più spesso nel gotha degli chef, si fa notare per i suoi piatti ma anche per il suo carisma e la sua fisicità, un vero inno al gusto in carne ed ossa. Viene definito "uomo delle due acque": il mare delle sue origini e il lago, dove ha trovato la sua dimensione. Ma è a suo agio anche sul palcoscenico, tra uno showcooking e un evento mondano. Lo abbiamo incontrato nel vortice del Fuorisalone, dove, con Davide Oldani e Massimo Bottura, ha parlato di Coffee Design allo Spazio Lavazza. Ecco cosa ci ha raccontato davanti ad un caffè, da partenopeo Doc.

Prima di vestire i suoi stessi panni, guardava i programmi di Gordon Ramsay?
«Non guardo proprio la tv, non ho tempo. Quei pochi attimi di libertà che mi rimangono preferisco dedicarli ai miei figli. Ma quando mi è stato chiesto di girare Cucine da incubo mi sono messo a studiare le mosse di Gordon su You Tube. E pensare che mi avevano anche chiesto di fare la prima edizione di MasterChef... Avevo detto di no. E mia moglie, alla luce del successo che poi il programma ha avuto, mi ha continuato a dire "Hai visto? Te l'avevo detto io!". Così quando è arrivato l'invito a partecipare a Cucine da incubo sono stato obbligato a dire di sì. Giusto per non sentire più Cinzia».

Dieci puntate a rimettere in sesto ristoranti sull'orlo del fallimento. Ne ha trovato tanti in condizioni disastrate, ha dato consigli e fatto strigliate. Quanti di questi locali hanno un futuro?
«Mi sono divertito, mi sono stancato. E mi sono commosso. Di questa esperienza conservo sorrisi, risate e lacrime. Sono rimasto in contatto con tanti di loro. Mi scrivono messaggi su Facebook, mi chiedono ancora consigli e, in alcuni casi, mi dicono che ho cambiato loro la vita. C'è chi ha capito che la gestione di un ristorante non si improvvisa e che, finito il programma, si è iscritto a scuole professionali ad hoc».

Cattivo come Gordon Ramsay?
«Sono cattivo se mi spingi ad esserlo. Come uno specchio, rifletto l'immagine di chi mi sta di fronte. Così tu ricevi ciò che mi dai. Insomma, se cerchi di fregarmi ti frego prima io. E cattivo lo posso diventare in un secondo. Quando ho accettato, pensavo "faccio l'attore". E invece è tutto vero. Ho dovuto "cazziare" i ristoratori per farli crescere. Ho trovato gente disperata con debiti, che dormiva nel ristorante. Follie di menu infiniti con un solo chef dietro le quinte. Quintali di provviste nei congelatori, sproporzionate rispetto al numero di clienti. Mi è capitato di salutare persone che piangevano. Tutti errori di gente che non ha mai fatto questo lavoro, ma ha qualche soldo da investire e si lancia nell'avventura della ristorazione senza la minima esperienza».

Lei, invece, è pure figlio d'arte, vero?
«Già, mio padre era un professore di scuola alberghiera. Sono stato suo allievo. Il brutto è che non potevo "fare filone". Sono in cucina da quando avevo 15 anni, ci sono cresciuto dentro. Proprio per questo so quanto sia necessaria la preparazione, oltre che la passione. Anche a chi fa questo mestiere da una vita capita di sbagliare, figuriamoci a chi si inventa chef dall'oggi al domani. E se sbagli, sei morto».

Dal mare della Campania com'è finito sul lago d'Orta?
«Ci sono finito per caso e rimasto per amore. Dopo la scuola alberghiera, sono salito in Piemonte per fare pratica al San Rocco di Orta. Poi sono passato all'Approdo, albergo della famiglia di mia moglie, dove ho conosciuto Cinzia, ma, ironia della sorte, l'amore è scoppiato proprio pochi giorni prima della mia partenza verso il Quisisana di Capri. Da lì, le immancabili esperienze all'estero a scuola dai maestri francesi. Ma sono tornato a Orta e qui ho voluto far nascere qualcosa di mio, anzi, di nostro. Villa Crespi è una bella scommessa fatta nel 1999 insieme a mia moglie. E per vincerla, si fatica ogni giorno. Per fortuna a darmi forza ci sono i miei due cuccioli: Elisa, 6 anni, e Andrea, 6 mesi, sono la mia adrenalina». 

Cuoco ma anche pasticciere: dolce o salato?
«Dolce e salato. Insieme. La mia è una cucina di contrasti, basata su una tradizione fortemente innovata. Ho due ricordi d'infanzia, tatuati dentro di me: la caffettiera e il ragù napoletano. E mi scorre l'olio nelle vene al posto del sangue. Quando sono arrivato in Piemonte la pasta di Gragnano era sconosciuta. L'alta ristorazione voleva solo la pasta fresca. Ho portato quella secca della mia tradizione, la burrata, il pomodoro del Vesuvio e altre tipicità campane. Così le Linguine di Gragnano, calamaretti spillo e salsa al pane di Fobello sono diventati un must. Ma qui ho incontrato il riso, il tartufo e i sapori del Piemonte. E li metto insieme a quelli delle mie origini».

E se le chiedessero ora di fare MasterChef, sarebbe ancora un no?
«Per ora sì, sono legato per contratto a Cucine da incubo. E quindi non ci penso. In un futuro, chissà. Vediamo cosa dice mia moglie...».

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